
Autore: Michele Moretti
Data di pubblicazione: 29 giugno 2024
IL CIMITERO DI ELEFANTI
Conosciamo tutti il luogo mitologico del cimitero di elefanti, luogo nel quale gli elefanti più anziani trovano la pace allontanandosi dal gruppo. Quando il gruppo però è dominato proprio da una maggioranza anziana con un ricambio scarso o quasi inesistente, con una “decrescita infelice” nell’ultimo decennio, beh il rischio comincia diventare grosso. L’albo dell’OCF, ma direi meglio la professione del Consulente finanziario, non attrae, anzi al contrario, tiene lontani giovani e in particolare giovani donne.
I numeri vanno letti con profondità storica o a nulla servono. Sapere che nel 2023 ci sia stato un avanzamento dello 0.6% rispetto all’anno precedente in realtà non ci dice nulla. Sapere che l’albo è in decrescita lenta da un decennio senza sapersi rinnovare veramente (e con un tonfo di iscritti del 25% dal 2004) ci dice che la crisi è profonda e che il “malato” ultimamente si è stabilizzato verso un calo fisiologico, lento e progressivo. Siamo degli elefanti anziani.
Ora l’albo è solo un termometro che registra la temperatura del settore mentre la professione è in mano prevalentemente alle reti di consulenza; quindi, è da lì che dobbiamo partire. Le reti stanno attraversando anni di grazia, guadagnando quote di mercato sempre più importanti, avvantaggiandosi di un tempo disruption per le banche, tra chiusura degli sportelli e digitalizzazioni. Il modello leggero delle reti risulta senz’altro più sostenibile restituendo prossimità ai clienti, soprattutto in un percorso di digitalizzazione e trionfo della fintech per la quale il consulente può rivestire una funzione quasi sociale (il quasi è d’obbligo, non vedo molte ONLUS tra le reti). Eppure, nonostante tutto questo, il consulente finanziario deve ancora spiegare il proprio lavoro al cliente con una metafora mutuando la definizione di sé dalle altre professioni. Insomma, il perimetro professionale della Consulenza finanziaria non è ancora ben definito nella mente delle persone ed abbiamo ancora bisogno di metafore. C’è chi ultimamente ha proposto di partire dalla definizione del Nobel Thaler, definendo il consulente come “architetto delle scelte finanziarie”, ma anche qui dobbiamo prendere in prestito una metafora e un’altra professione. Insomma, non ne usciamo.
Come definire meglio la professione quindi? La risposta viene dalla soluzione ad un altro problema e se vogliamo rimanere in tema di elefanti allora torniamo al vero “elefante nella stanza”: le reti soffrono di un vero problema di gerontologia e misoginia. Troppi uomini, troppo vecchi.
Perché i giovani si tengono alla larga dalla professione? Perché i pochi giovani presenti sono prevalentemente “figli d’arte”? Perché le donne sembrano poco attratte dal mondo della consulenza finanziaria?
A poco servono le sporadiche iniziative delle maggiori reti per attrarre giovani e per ristabilire un maggiore equilibrio di genere, mentre la realtà dei numeri è disarmante: un 2% di under35 ed una presenza maschile superiore all’85% (Fineco e Mediolanum hanno soglie prossime al 90% di presenza maschile!).
Quindi possiamo tranquillamente archiviare le sporadiche iniziative a favore delle donne e a favore dei giovani come operazioni cosmetiche con finalità di marketing. La sostanza del problema rimane sospesa, come dicevo, tra la gerontologia e la misoginia. Eppure, credo che una professione come questa sia tutta al femminile e avrebbe tutta da guadagnare da una presenza non solo significativa ma determinante di giovani donne. Parliamo di pianificazione, consulenza, organizzazione, comunicazione, previdenza, successione, ma anche di diversificazione, crescita, conservazione, allocazione e quant’altro. Parole tutte al femminile e che avrebbero maggiore impatto se rappresentate da donne. Competenze reali alle quali ciascuna donna restituisce concretezza, certezza e affidabilità.
Come uscire da tutto questo?
Torniamo anche alla soluzione al primo problema, quello della definizione della professione. Servono investimenti reali, non iniziative isolate. Servono percorsi di studi chiari e ben definiti sin dall’università e non un ventaglio di opzioni che rendono la professione accessibile a chiunque e a qualsiasi età. Torniamo allora alle metafore. L’avvocato per essere avvocato ha seguito un percorso giuridico universitario che lo ha guidato fino alla sua abilitazione. Così ogni altra professione. Senza un percorso universitario e specialistico ben definito avremo sempre bisogno di mutuare la definizione del nostro lavoro da qualsiasi altra professione.
Ho compreso meglio la professione solo dopo aver seguito una scuola di alta formazione finanziaria, nonostante provenissi da più di un decennio di esperienza bancaria, in un’offerta formativa parimenti rivolta a uomini e donne. Lo studio universitario e specialistico dovrebbe essere alla base della professione con un percorso ben definito tra le scienze economiche. Solo così sarà possibile garantire una maggiore democratizzazione di genere, ristabilire un equilibrio anagrafico ed avere maggiori garanzie professionali per l’albo stesso. Avere un albo “ibrido” come l’attuale, che possa “pescare” un po’ ovunque, non aiuta la professione, anche in tema di credibilità.
Per finire quindi di cosa abbiamo bisogno? Percorsi universitari e specialistici che definiscano il perimetro della professione e ne garantiscano democratizzazione in tema di genere. Studi quindi che garantiscano l’albo e la professione in tema di competenza e professionalità. Abbiamo bisogno di investimenti reali da parte delle reti che altrimenti non avranno molto futuro (in tema anagrafico e di genere le banche tradizionali sono molto, molto più avanti).
Come vedo il futuro della Consulenza finanziaria? Io vedo un futuro Donna, giovane e istruita.
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